Mirella Izzo
Emanuela è stata uccisa la notte del 21 aprile, nella propria
abitazione. Aveva 38 anni e si prostituiva. Chi l'ha uccisa probabilmente
non è un cliente perché per lei la casa era un luogo
franco da un mestiere che odiava a tal punto da avere in passato
offerto un rene pur di inseguire il suo sogno: quello di essere
donna, per tutti, secondo le leggi vigenti in Italia sul "cambio
di sesso". Emanuela era nata di sesso maschile ed era riuscita
da anni ad essere donna, ma non a liberarsi da un lavoro che non
amava: la prostituzione.
Emanuela, la conoscevo. Nonostante avesse terminato il suo percorso
di transizione, si era iscritta a Crisalide, perché voleva
un futuro migliore, non solo per sé. Invece è stata
uccisa tre volte. La prima nella sua dignità che l'ha costretta
a vivere di prostituzione quando non ne poteva più. E la
latitanza dello Stato e de governi è imperdonabile: il dovere
di favorire le "pari opportunità" per le minoranze
discriminate è tutto loro, come stabilito dalla Corte di
Giustizia Europea da quasi dieci anni. Ma nulla si fa. Poi è
stata uccisa fisicamente da un uomo che le ha fracassato il volto
mentre lei gli preparava un caffé. Ma non è bastato
ucciderla due volte. Ce ne voleva una terza, che l'ha umiliata nel
corpo e nella dignità anche da morta. E i colpevoli sono
i giornali (e in seconda battuta i garanti che nulla ancora hanno
detto e fatto). Ci vuole poco per capirlo e nessuna sensibilità,
basta la deontologia, il buon senso. Eppure la pur fatiscente legge
164/82 prevede una via stretta, estenuante e spesso umiliante per
poter essere riconosciuta a tutti gli effetti donna. In pegno pretende
che si consegnino i residui del glande (o l'utero) allo Stato, ma
poi, alla fine, "gentilmente concede" di dichiararsi in
tutto e per tutto donne di fronte allo Stato Italiano ed a tutti
i suoi cittadini.
Emanuela, Manu, ha ottenuto questa "concessione" dal giorno
in cui il tribunale ha emesso la sentenza. I dati relativi alla
sua transizione, il suo precedente sesso e nome, quel giorno dovevano
scomparire da tutti i documenti. A nessuno, se non alle autorità
civili e giudiziarie doveva essere dato di sapere: neppure i giornali.
Il motivo di questa segretezza è contenuta in una parola,
"privacy", cui tutti hanno diritto, ma - questo caso è
eclatante - parola ancora interdetta nel vocabolario delle persone
transgender o ex tali.
Manu quindi era, è donna, seppur costretta alla mercificazione
del corpo. Poteva dichiarare di essere un ex-uomo o non farlo. Spettava
a lei decidere se e cosa rendere pubblico rispetto ai propri "dati
sensibili" e a nessun altro. Invece: "Trans ucciso in
casa" titolava il 23 aprile il Corriere della Sera . Continua,
impietosamente, l'articolo: «Un transessuale di 37 anni è
stato ucciso la scorsa notte a Pescara, (…). La vittima è
Emanuela Di Cesare, Marco prima del cambio di nome». Marco?
Cambio di nome? Ma almeno quella scassata legge 164 del 1982 (a
cui persino Almirante non si oppose), vale o neppure quella? Sui
suoi documenti "Marco" non risultava, ne sono certa, li
ho visti. Come ogni socia l'abbiamo assicurata per obblighi di legge
e la polizza era di Emanuela, non altri.
Evidentemente per Emanuela il rispetto non è un diritto,
forse riservasto ai soli "gentili", come San Paolo chiamava
i "non cristiani" in un periodo in cui esserlo era pericoloso
come lo è oggi essere o essere state transgender. Per i "gentili"
i giornali, usano le iniziali dei nomi, perché altrimenti
il garante si arrabbia e fioccano multe. Quando si tratta di noi
non dice una sola parola, sebbene più volte interrogato.
Emanuela non ha più voce e allora lo dico io, lo urlo: lei
non ha cambiato nome, ha cambiato sesso, "identificativo di
genere". Il cambio di nome è una semplice conseguenza.
Ed in ogni caso si tratta di dati sensibili, inequivocabilmente
tali.
Signor Garante della Privacy, signor Garante delle Comunicazioni,
interverrete per Emanuela come avete fatto per Mr. Lapo Elkann e
per il portavoce del Primo Ministro, il dottor Sìrcana? Perché
se non lo farete, restano due ipotesi: o noi transgender non siamo
cittadini italiani o voi applicate le leggi con un'intollerabile
discriminazione. Contro Emanuela c'è stato un abuso, un'abnorme
quanto inutile violazione della privacy. Ma a chi interessava sapere
che era nata Marco? Cosa hanno guadagnato gli articoli che la riguardano
con questa notizia? Nulla. Solo quell'irresistibile bisogno di dare
il massimo risalto alla sua diversità infame. Diversa sempre
e comunque, a dispetto di leggi e della sua morte brutale. L'importante
è stimolare la morbosità che appartiene a chi il "morbo"
lo ha e non alle sue vittime.
* presidente onoraria di Crisalide
AzioneTrans onlus
25/04/2007
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