del 25 aprile 2007

Era una donna (ma ex-trans) e nessun garante ha difeso la sua dignità

Emanuela uccisa dallo stigma, dal killer
Emanuela uccisa dai giornali

Mirella Izzo
Emanuela è stata uccisa la notte del 21 aprile, nella propria abitazione. Aveva 38 anni e si prostituiva. Chi l'ha uccisa probabilmente non è un cliente perché per lei la casa era un luogo franco da un mestiere che odiava a tal punto da avere in passato offerto un rene pur di inseguire il suo sogno: quello di essere donna, per tutti, secondo le leggi vigenti in Italia sul "cambio di sesso". Emanuela era nata di sesso maschile ed era riuscita da anni ad essere donna, ma non a liberarsi da un lavoro che non amava: la prostituzione.
Emanuela, la conoscevo. Nonostante avesse terminato il suo percorso di transizione, si era iscritta a Crisalide, perché voleva un futuro migliore, non solo per sé. Invece è stata uccisa tre volte. La prima nella sua dignità che l'ha costretta a vivere di prostituzione quando non ne poteva più. E la latitanza dello Stato e de governi è imperdonabile: il dovere di favorire le "pari opportunità" per le minoranze discriminate è tutto loro, come stabilito dalla Corte di Giustizia Europea da quasi dieci anni. Ma nulla si fa. Poi è stata uccisa fisicamente da un uomo che le ha fracassato il volto mentre lei gli preparava un caffé. Ma non è bastato ucciderla due volte. Ce ne voleva una terza, che l'ha umiliata nel corpo e nella dignità anche da morta. E i colpevoli sono i giornali (e in seconda battuta i garanti che nulla ancora hanno detto e fatto). Ci vuole poco per capirlo e nessuna sensibilità, basta la deontologia, il buon senso. Eppure la pur fatiscente legge 164/82 prevede una via stretta, estenuante e spesso umiliante per poter essere riconosciuta a tutti gli effetti donna. In pegno pretende che si consegnino i residui del glande (o l'utero) allo Stato, ma poi, alla fine, "gentilmente concede" di dichiararsi in tutto e per tutto donne di fronte allo Stato Italiano ed a tutti i suoi cittadini.
Emanuela, Manu, ha ottenuto questa "concessione" dal giorno in cui il tribunale ha emesso la sentenza. I dati relativi alla sua transizione, il suo precedente sesso e nome, quel giorno dovevano scomparire da tutti i documenti. A nessuno, se non alle autorità civili e giudiziarie doveva essere dato di sapere: neppure i giornali. Il motivo di questa segretezza è contenuta in una parola, "privacy", cui tutti hanno diritto, ma - questo caso è eclatante - parola ancora interdetta nel vocabolario delle persone transgender o ex tali.
Manu quindi era, è donna, seppur costretta alla mercificazione del corpo. Poteva dichiarare di essere un ex-uomo o non farlo. Spettava a lei decidere se e cosa rendere pubblico rispetto ai propri "dati sensibili" e a nessun altro. Invece: "Trans ucciso in casa" titolava il 23 aprile il Corriere della Sera . Continua, impietosamente, l'articolo: «Un transessuale di 37 anni è stato ucciso la scorsa notte a Pescara, (…). La vittima è Emanuela Di Cesare, Marco prima del cambio di nome». Marco? Cambio di nome? Ma almeno quella scassata legge 164 del 1982 (a cui persino Almirante non si oppose), vale o neppure quella? Sui suoi documenti "Marco" non risultava, ne sono certa, li ho visti. Come ogni socia l'abbiamo assicurata per obblighi di legge e la polizza era di Emanuela, non altri.
Evidentemente per Emanuela il rispetto non è un diritto, forse riservasto ai soli "gentili", come San Paolo chiamava i "non cristiani" in un periodo in cui esserlo era pericoloso come lo è oggi essere o essere state transgender. Per i "gentili" i giornali, usano le iniziali dei nomi, perché altrimenti il garante si arrabbia e fioccano multe. Quando si tratta di noi non dice una sola parola, sebbene più volte interrogato. Emanuela non ha più voce e allora lo dico io, lo urlo: lei non ha cambiato nome, ha cambiato sesso, "identificativo di genere". Il cambio di nome è una semplice conseguenza. Ed in ogni caso si tratta di dati sensibili, inequivocabilmente tali.
Signor Garante della Privacy, signor Garante delle Comunicazioni, interverrete per Emanuela come avete fatto per Mr. Lapo Elkann e per il portavoce del Primo Ministro, il dottor Sìrcana? Perché se non lo farete, restano due ipotesi: o noi transgender non siamo cittadini italiani o voi applicate le leggi con un'intollerabile discriminazione. Contro Emanuela c'è stato un abuso, un'abnorme quanto inutile violazione della privacy. Ma a chi interessava sapere che era nata Marco? Cosa hanno guadagnato gli articoli che la riguardano con questa notizia? Nulla. Solo quell'irresistibile bisogno di dare il massimo risalto alla sua diversità infame. Diversa sempre e comunque, a dispetto di leggi e della sua morte brutale. L'importante è stimolare la morbosità che appartiene a chi il "morbo" lo ha e non alle sue vittime.
* presidente onoraria di Crisalide
AzioneTrans onlus
25/04/2007